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Appalti, Bim e accordi collaborativi

La retorica che circonda il Bim è ammantata delle nozioni di «collaborazione» e di «integrazione», fattori che parrebbero decisivi per incrementare il tasso di efficienza e di efficacia dei procedimenti tecnici-amministrativi relativi ai contratti pubblici regolati dal D.Lgs. 50/2016 e s.m.i., in attesa del nuovo regolamento generale di attuazione.

Per quanto concerne l’appalto integrato, si noti che esso, non considerando altro che l’istituto medesimo dell’appalto, avrebbe dovuto rivelarsi come la forma elettiva di natura collaborativa, sennonché spesso ha finito per essere rigettato consensualmente tanto dal versante professionale quanto da quello imprenditoriale, per ragioni paradossalmente simmetriche, opposte e convergenti: per antitesi di convenienze, non certo solo per eterogeneità di linguaggi.

A prescindere dall’annosa controversia riguardante l’appalto integrato, gli Osservatorî relativi alle procedure competitive coinvolgenti il Bim curati da CNAPPC/CRESME e OICE paiono indicare che esse riguardino in larga misura l’appalto, anziché le concessioni e altre forme partenariali.

Il che sembrerebbe indicare che, qualora ve ne fosse davvero consapevolezza da parte delle stazioni appaltanti, vi sia una forte convinzione che i processi digitalizzati abbiano la intrinseca virtù di assicurare condizioni integrate e collaborative anche in presenza di approcci sequenziali in cui i diversi attori si susseguano in maniera distinta.

Che cosa giustificherebbe una tale confidenza che l’Information Management sia capace di assicurare una visione coerente e unitaria alle fasi del procedimento tradizionale di Design-Bid-Build, anziché di Design-Build, tenuto in conto che esso, a causa della distinzione delle fasi temporali e della presenza sequenziale di operatori eterogenei, si sia sempre connotato per le ragioni opposte? E magari per il tramite del criterio di aggiudicazione al maggior ribasso?

Probabilmente, non il metodo giacché ciò che si presuppone è, all’inverso, che siano le tecnologie e gli strumenti legati al Bim ad abilitare una istanza e una metodologia pregresse.

In altri termini, a iniziare dall’affidamento dei servizi di progettazione (sino all’esecutiva), passando attraverso gli appalti di sola esecuzione, si giungerebbe all’aggiudicazione dei servizi e dei lavori di manutenzione in modo da garantire coerenze e congruità.

>L’immaginario iniziale, in effetti, prevedeva che, in prospettiva, un modello informativo unico, in luogo di tanti modelli informativi federati, fosse il recettore di tutti i dati numerici strutturati, inclusivo di ogni aspetti legato, ad esempio, ai calcoli strutturali e impiantistici.

A questo modello informativo centralizzato avrebbero dovuto fare riferimento tutti gli attori, agendo in tempo reale e in remoto su di esso in maniera convergente, utilizzando un gergo unificato e punti di vista normalizzati.

Per quanto attualmente questa ipotesi sia stata ridimensionata e, comunque, nei modelli informativi continui a figurare in prevalenza la componente geometrico-dimensionale a discapito di quella alfa-numerica, la presenza di requisiti informativi che impongano una precisa dotazione informativa per ogni entità od oggetto contenuto nei modelli informativi, nonché di regole computazionali che ne verifichino la conformità a tali dotazioni, suggerisce la validità di questa opportunità.

Si tratterebbe di ritenere che la struttura dei dati configurata negli applicativi imponesse agli operatori una continuità di evoluzione dei contenuti informativi, oltre che una loro tracciabilità, che impedisse contraddizioni e conflitti: una sorta di cooperazione forzata dagli strumenti e rafforzata dai protocolli di scambio informativo.

A ulteriore riprova della necessità, si è, pure, pensato che apposite clausole contrattuali costringessero gli attori, pur non interagendo eventualmente mai direttamente, a sottoporre logiche e convenienze particolaristiche a una visione sistemica e matriciale.

Basta, davvero, un capitolato informativo, a una stazione appaltante, che le norme UNI EN ISO 19650-1 e -2 definiscono soggetto proponente, per conseguire l’atteso risultato? O qualche clausola giuridica appositamente introdotta in una struttura contrattuale tradizionale?

In realtà, di là delle carenze non inusuali del committente pubblico nell’esprimere le proprie esigenze e i propri requisiti, già all’interno delle compagini e dei raggruppamenti di progettisti, di costruttori, di manutentori, si verificano iati e fratture in termini di punti di vista, priorità, linguaggi, convenienze, responsabilità.

Cosicché, ben oltre la constatazione che i procedimenti tecnico-amministrativi non si evolvano linearmente quasi mai secondo quanto previsto da capitolati informativi e da piani di gestione informativa, magari anche facenti oggetto di valutazione nelle offerte tecnico-metodologiche, il quadro socio-culturale entro cui i contratti hanno esecuzione rischiano di smentire la versione ottimistica affidata alle virtù dei dispositivi tecnici-organizzativi.

Non è probabilmente lontana la circostanza per cui stazioni appaltanti non particolarmente attrezzate, emulando il formato convenzionale del capitolato informativo e affidando la scelta dell’ambiente di condivisione dei dati alla controparte, affidino servizi e lavori agli usuali importi fortemente ribassati ad appaltatori eterogenei e conflittuali, anche tra di loro.

Scartando l’appalto integrato e le forme concessorie e partenariali, dando per scontato che l’istituto dell’appalto resti predominante, occorrerebbe allora, oltre a rafforzare una attitudine proattiva della stazione appaltante in tema di sorveglianza della catena di fornitura attraverso le regole fissate nel capitolato informativo e governate per mezzo di un ambiente di condivisione dei dati, introdurre nei singoli contratti e, soprattutto, nelle reti di contratti, logiche collaborative che suonino come modi di regolazione delle necessarie flessibilità e di redistribuzione dei benefici arrecati da un maggiore coinvolgimento collettivo dei soggetti interessati.

In altre parole, oltre a un ricorso corretto ai metodi e agli strumenti intrinseci al Bim sarebbe opportuno che le scritture contrattuali, per il tramite di forme di accordo collaborativo, note sotto la denominazione dell’Alliancing, come il FAC-1, rendessero le potenzialità operative offerte dalle tecnologie e dai processi realmente convenienti per tutti gli operatori contrattualmente coinvolti nelle catene di fornitura.

Solo così una formula contrattuale di per se stessa fautrice di processi decisionali frammentati e contrapposti, che genererebbe continui rifacimenti radicali dei modelli informativi, oltre a una loro precaria coerenza, potrebbe rivelarsi consona alle attese rivolte alla collaborazione e alla integrazione del Bim.

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