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A che punto è la digitalizzazione del cantiere in Italia

Dopo le manifestazioni del settore dell’ultimo trimestre, su tutte SAIE Bari e Digital & Bim a Bologna, e gli abituali incontri di fine anno con le associazioni territoriali dei costruttori edili spingono Angelo Ciribini a riportare l’attenzione sul ruolo odierno e prospettico del cantiere, dell’impresa di costruzioni, al cospetto della digitalizzazione. Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta che ha inviato a noi e alla comunità edile italiana.

È evidente che la digitalizzazione stia entrando oggi nel cantiere con una certa qual intensità.

In realtà, tale ingresso sollecita alcuni interrogativi sulla struttura reticolare dei soggetti imprenditoriali coinvolti nei raggruppamenti temporanei, sulla loro capacità di creare consorzi stabili e di agevolare processi aggregativi, sulla lunghezza delle catene di fornitura, sul ruolo che l’impresa (generale?) di costruzioni possa giocarvi, e così via.

Di fatto, a prescindere dalla tipologia delle imprese di costruzioni, che vede differenti condizioni in essere, si tratta di comprendere in che misura le logiche relative all’organizzazione, alla commessa e al cantiere possano creare una sorta di interoperabilità attinente alle singole aree dell’azienda e alle differenze sfere di competenza.

Dato che è possibile adottare algoritmi tesi a supportare le decisioni per i diversi ambiti operativi, si tratta di comprendere in che modo possa darsi una intelligenza di sistema, digitalmente abilitata.

Digitalizzare il cantiere significa, infatti, ragionare sull’identità dell’impresa di costruzioni e di installazioni, sul suo ruolo in catene del valore che si immaginano mutare, nelle quali riallocare i diversi attori: oltre all’impresa, lo studio o la società professionale, l’azienda produttrice, il distributore commerciale, e così via.

Il cantiere digitale è, sarà, dunque, il riflesso della riconfigurazione degli assetti, tale per cui i termini autonomazione e sincronizzazione, caratteristici della quarta rivoluzione industriale, acquisiscono sensi e conseguenze potenzialmente dirompenti.

Angelo Luigi Camillo Ciribini

Il problema, infatti, è che ciò non sta avvenendo (solo) in maniera analogica, per il cantiere digitalizzato, vale a dire attraverso i cosiddetti 3D BIM, 4D BIM, 5D BIM, nD BIM, che rappresenterebbero la trascrizione della progettazione costruttiva (modelli informativi da cui trarre gli elaborati necessari), della programmazione dei lavori (modelli informativi che illustrerebbero le sequenze costruttive), della contabilizzazione dei lavori (modelli informativi che supporterebbero la gestione dei documenti contabili) e di altre tematiche, come la gestione della sicurezza o dell’ambiente nel cantiere: digitalizzato.

Nel cantiere entra il dato

Non è il BIM, infatti, che sta facendo il suo ingresso in cantiere, bensì il dato, con le correlate semantiche, ontologie e relazioni.
Dobbiamo, perciò, immaginare che il contesto in cui ciò avvenga sia quello della possibilità che i dati, strutturati, generati da sorgenti eterogenee, possano essere raccolti, analizzati e gestiti in tempo reale, in presenza o in remoto, per farsi decisioni senza mediazioni eventuali.

È quello che potremmo definire Internet of the Decision Making Processes, quando i dati si fanno eventi e decisioni, sulla base di flussi operativi in cui la realtà tradotta digitalmente innesca continuamente, appunto, passaggi decisionali.

Ora, è palese che laddove e quando questa condizione di fluidità, a prescindere dai documenti, si avverasse, saremmo al cospetto di un passaggio epocale, che chiamerebbe in causa, anzitutto, l’allocazione di responsabilità concernenti gli operatori.

Qualora la sincronizzazione, così come l’autonomazione, si verificassero grazie a un gemello digitale dei processi cantieristici semi autonomo, Off Site e On Site, vale a dire in grado parzialmente di regolare i processi decisionali, oltre che di supportarli, nulla sarebbe più come prima.

Ancora una volta, tuttavia, occorrerebbe oltrepassare la dimensione visibile dei dispositivi digitali presenti nel cantiere (compresi gli operatori umani che si prestano a generare dati strutturati), per comprendere l’intima essenza dell’evento informato, che, appunto, genera una decisione.

Ovviamente, il grado di complessità operativa e l’entità dell’investimento è tale per cui servirà del tempo perché una simile ipotesi si inveri, ma è chiaro che abbiamo scoperto un vaso di Pandora che non riguarda certamente il drone, il laser scanner, il sensore localizzato su entità umane o meno, o quant’altro, bensì la possibilità di predire, non solo di prevedere, l’imprevedibile e di «sconfiggere» il rischio nella sua accezione negativa.

Dapprima, il gemello digitale dei processi cantieristici avrà lo scopo, appunto, di esercitare una intelligence tempestiva nei confronti degli accadimenti, ma, in seguito, di pari passo con l’accrescersi dell’autonomia cognitiva della macchina, nel senso di sua comprensione dei fenomeni in essere attraverso algoritmi, potrà giungere a condizionare o a sostituire in parte i processi decisionali umani.

Tutto ciò è detto non per creare scenari millenaristici, ma per far comprendere che le ennesime dimensioni del BIM sono puramente accessorie rispetto a una sfida che promette ben ulteriori sviluppi, poiché vi è oggi la possibilità, o inizia a esservi, di misurare in tempo reale, o almeno tempestivamente, tutto ciò che avviene nel cantiere, ma anche le modalità di funzionamento di quello che si sta realizzando, creando nuove relazioni tra la conformità della progettazione, dell’esecuzione e della gestione.

È chiaro che il settore non sia ancora preparato culturalmente e giuridicamente per affrontare questa transizione che di sicuro potrà, in avvenire, apparire circoscritta ad alcuni casi specifici, ma occorre comprendere che una omologazione digitale basilare non può che essere un presupposto affinché soggetti dominanti possano esercitare una azione stringente di monitoraggio e di controllo, in attesa di algoritmi predittivi così performanti da ridurre la necessità dei primi, in quanto l’eliminazione preventiva dei fattori critica mitiga il rischio.

Si tratta di paradigmi integrativi di carattere selettivo che non hanno certo lo scopo di democratizzare la catena di fornitura: anzi, semmai hanno il fine di stabilire un maggior grado di controllo su di essa.

Per questa ragione, trovo curioso il ricorso al vocabolo collaborazione per indicare una condivisione dei dati tutta da indagare, come apprendisti stregoni, a meno che non si definiscano business model credibili nel garantire la convenienza per i soggetti cooperativi.

La co-simulazione tempestiva delle dinamiche che potrebbero verificarsi nei cantieri, più complesse di quelle che accadono nelle manifatture, introduce forse una netta cesura tra cantiere digitalizzato e cantiere digitale.

È possibile, inoltre, che la dimensione cognitiva del cantiere digitale sia ulteriormente amplificata dal suo incontro con le tematiche ambientali, circolari, sostenibili, nel senso che il Digital rimette in discussione la natura stessa delle organizzazioni, mentre il Greenfornisce loro la legittimazione «ideologica» per giustificare un simile cambiamento.
Con ogni probabilità, l’anima verde determinerà, a sua volta, un riassetto del posizionamento dei diversi attori nel cantiere, o meglio, nella catena di fornitura.

L’espressione Internet of the Decision Making Processes simboleggia, perciò, la necessità di provvedere strutture imprenditoriali adeguate alla evoluzione prospettica.

La difficoltà che intravedo è che le categorie di cui si è discorso siano recepite in maniera scontata, come fattori non evitabili, ma, al contempo, senza valutarne i portati sulle organizzazioni che vi aderiscono.

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