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Come sarà il settore delle costruzioni nei prossimi dieci anni

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione ad ampio raggio di Angelo Ciribini, indirizzata a tutta la comunità degli stakeholder delle costruzioni che guardano con attenzione al digitale. Al solito, ambiziosa nell’ampliare la visuale, funge da stimolo per mantenere viva l’attenzione e la discussione su temi che sono destinati a coinvolgere sempre più persone nel lungo periodo.

A fine anno, o meglio a fine decennio, è d’abitudine formulare previsioni relative al futuro: in questo caso, del settore delle costruzioni e dell’immobiliare.

Le profezie, ovviamente, talvolta si auto avverano, ma, più spesso, sono smentite clamorosamente, non fosse altro per il fatto che gli accadimenti dipendono da una pluralità di fattori, anche congiunturali, non solo strutturali.

Per questa ragione, è più prudente accennare a scenari che, per quanto plausibili, rimangano solo tendenziali.

In ogni caso, attorno alle espressioni Green e Digital non si giocano, ad esempio, solo le politiche industriali comunitarie e nazionali, a partire dalla Domanda Pubblica, ma, soprattutto, due elementi salienti per l’Offerta Privata: la possibilità di ridisegnare le catene del valore e l’entità degli investimenti relativi alla natura inedita dei prodotti/servizi.

La digitalizzazione, come osservato in innumerevoli occasioni, grazie alla possibilità di estrarre valore dai dati, generati da una moltitudine di soggetti attratti negli ecosistemi digitali, numerici, computazionali, permetterà ai soggetti più capaci di acquisire vantaggi competitivi esponenziali ridisegnando i processi decisionali e le catene di fornitura, eventualmente anche eliminando o ridimensionando alcuni attori attualmente presenti in esse.

Una migliore efficienza del dato chiaramente, ad esempio, può permettere una maggiore disintermediazione tra il produttore di componenti edilizi e impiantistici e il committente finale (sia esso il consumatore o l’operatore imprenditoriale), oltre che può instaurare un rapporto immediato con il progettista, riducendo il ruolo della distribuzione commerciale.

Tra l’altro, grazie a vari risvolti della digitalizzazione, la comunicazione può avvenire in maniera sempre più attagliata al mercato di destinazione e ai clienti o committenti di riferimento.

Se, poi, il produttore fosse anche assemblatore di sistemi costruttivi esso potrebbe «integrare» progettisti e costruttori nella propria catena di fornitura, assumendo un ruolo dominante.

Il combinato disposto di circolarità, di decarbonizzazione e di sostenibilità costringerà, inoltre, a ripensare ancora più intensamente i prodotti e i manufatti nel loro ciclo di vita, o, addirittura, a riprogettarne i modi di funzionamento e addirittura di guasto.

Di là dell’enfasi su materiali e prestazioni inedite, i requisiti ambientali, circolari, energetici, sostenibili, se offerti per davvero, potrebbero, del resto, costringere alcune categorie di attori del mercato ad aggregarsi per far fronte a fabbisogni di conoscenza cospicui.

Angelo Ciribini

D’altra parte, se la disponibilità di serie storiche di dati strutturati (o meno) statisticamente rappresentativi, contraddistinti da volume di produzione, varietà di natura e velocità di generazione, unitamente all’affinamento di algoritmi per la detection e per la prediction, sembrano consentire approcci inauditi, variamente definiti di intelligenza artificiale, di machine learning e di deep learning, il Product Lifecycle Management e il Digital Twin appaiono confermare che la necessità di incremento qualitativo delle teorie, a livello numerico e sperimentale, debba accrescersi, non diminuire.

Si sta, perciò, prospettando un mercato della costruzione e dell’immobiliare, meglio definibile come dell’ambiente costruito, che richiede investimenti in conoscenza, sul Green, difficilmente praticabili dalle strutture parcellizzate e atomizzate costituite dalle micro e dalle piccole organizzazioni, ma che, paradossalmente, proprio in virtù del Digital, potrebbe persino conservare in apparenza il tessuto frammentario e polverizzato esistente per una migliore sua etero-direzione.

Nel caso del Green, dunque, l’Autoveicolo, ambito di comparazione privilegiato per il settore, indica in che misura, a prescindere dall’innovazione di processo, l’innovazione di prodotto costringa a rimettere in discussione le strategie manifatturiere.

Più in particolare, la possibile convergenza tra Green e Digital dovrebbe rafforzare il fatto che al centro delle value proposition vi sia l’utente/cittadino, ivi presente ambiguamente in qualità di soggetto/oggetto: che soffre dei cambiamenti climatici o del malessere ambientale, ma che ne è anche causa, che utilizza i mezzi di socialità digitali per relazionarsi più facilmente con altri individui, ma che ne è pure sorvegliato, che ha la possibilità di ricevere servizi personalizzati, sempre più legati alla interazione con edifici, infrastrutture, reti interconnessi da recettori e da attuatori, ma che per ottenere questo deve essere profilato.

D’altronde, nella sfera del Green & Digital il prodotto è intrinsecamente, senza mediazioni, processo e viceversa.

Da queste considerazioni si può, peraltro, desumere come, per un canto, la piattaformizzazione dell’ambiente costruito indebolisca le distinzioni tra edificio, infrastruttura e rete, mentre, per un altro verso, il governo del territorio e delle agglomerazioni urbane sia sempre più influenzata da essa.

In altre parole, la regolazione della pianificazione urbanistica e territoriale, del mercato dei contratti pubblici e dell’edilizia privata entra nella sfera politica e sociale con ulteriore forza, secondo una modalità «umanistica» forse non esattamente coincidente con quella di origine rinascimentale, se qualcuno ha parlato di feudalesimo digitale.
Quello che occorre, dunque, comprendere è quali business model siano più appropriati per un mercato digitalizzato che troppo spesso viene dipinto semplicisticamente come collaborativo e partecipativo, in antitesi a quello analogico, conflittuale e antagonistico.

Se, infatti, per cooperazione si intende una condizione operativa di maggiore interconnessione e relazione tra gli operatori che ne causa una più intensa interazione, bisogna definire sino a che punto con essa, e secondo quali modalità, si generi una effettiva condivisione: di dati, di responsabilità, di culture, di gerghi, di interessi.

È, infatti, piuttosto strano, benché auspicabile, che, almeno nelle intenzioni, rappresentanze che si sono sempre volute distintive e separate (in termini di competenza e di autorialità) ricerchino una unitarietà, pur giustificata dalla crisi strutturale recente.

Le interpretazioni secondo cui Green e Digital intrinsecamente agirebbero in maniera neutrale idealmente (e forse idealisticamente) come indiscutibili abilitatori del tessuto committente, professionale, imprenditoriale attuale non risultano, infatti, credibili più che tanto.

Naturalmente, la via più semplice per immaginare il futuro potrebbe consistere nel concentrarsi sui nuovi materiali, sul ritorno della prefabbricazione, sull’avvento dell’automazione, e così via dicendo.

Si tratterebbe, tuttavia, di mantenersi entro il confine di un ambito conosciuto, ma, se si accetta l’analogia con l’Automotive, oltre alla riconversione alla elettrificazione e alla rete di distribuzione corrispondente, il veicolo a guida autonoma costringe a ripensare interamente il significato dell’abitacolo, i servizi che vi possano essere erogati, nonché la detenzione del mezzo e il sistema dei parcheggi.
Di conseguenza, la scommessa consisterebbe nel fuoriuscire da schemi abituali.

Epperò, come sovente detto e ripetuto, è proprio il soggetto/oggetto del contratto (sociale?), fruitore, occupante o utente che dir si voglia, GDPR a lato, interpretabile attraverso il suo attivismo sui social media, tracciabile in termini geo-spaziali, dialogante con i cespiti mobili e immobili sensorizzati e collegati, cognitivi e responsivi, il fattore che potrebbe riconfigurare radicalmente il settore dell’ambiente costruito, una volta piattaformizzato, tramite protocolli di interoperabilità tra le sue dimensioni esperienziali: esistenziali.

Gli sforzi compiuti in materia di CDE, di Open API, di ontologie, di semantiche, così come la tentata coerenza tra protocolli BIM e GIS, testimoniano, in maniera embrionale, questa tendenza, parallela al tentativo di rendere interpretabili o leggibili dalla macchina i vincoli e i comportamenti, secondo un’ottica non più rigidamente tassonomica.

In definitiva, ciò che conta nell’analisi dell’interrogazione grazie ai motori di ricerca sul Web è l’individuazione dei comportamenti e dei sentimenti più reconditi degli utenti, meno apparenti o confessabili o magari meno accettabili dagli stessi soggetti: una simile attenzione si palesa sempre più, ad esempio, nell’analisi ai fini della business intelligence delle modalità di produzione dei modelli informativi da parte degli operatori coinvolti nelle commesse.

È palese che il valore dell’ambiente costruito imponga strutture professionali e imprenditoriali affatto diverse, dotate di ben altra cultura Green & Digital, ma, soprattutto, in grado di investire nella economia e nella gestione della conoscenza.

Qui sta il punto: l’attuale settore della costruzione e dell’immobiliare è attrezzato per affrontare cotanta sfida? Quale percorso di evoluzione dovrebbe intraprendere per poterlo essere? Quali dimensioni organizzative e culturali saranno richieste? Quali strutture giuridiche e contrattuali si renderanno necessarie? Quali percorsi formativi, scientifici e disseminativi ITS, Accademia e Centri di Ricerca dovranno procurare ai mercati? Con che frequenza di aggiornamento?

Ciò che sarebbe necessario è una strategia industriale che sia in grado di cogliere il potenziale trasformativo di un settore che è chiamato, nel prossimo decennio, a trasferire la focalizzazione del business dall’oggetto tangibile al soggetto immateriale.

Più che sapere in che maniera nel 2030 si presenterà uno studio professionale o una organizzazione imprenditoriale, una fabbrica dell’indotto o un cantiere, temi difficilmente presagibili, in maniera analitica, sarebbe utile intuire la praticabilità di una modalità di pensiero in cui il cespite fisico, a iniziare dalle sue caratteristiche spaziali, possa essere tradotto in co-erogatore di servizi, in veicolo di prestazioni non solo tecnologiche, ma anche comportamentali.

È evidente, infatti, che una percezione in tal senso, sia pure modesta, sia riscontrabile quasi unicamente nel settore dell’immobiliare (e del design), mentre per la costruzione l’attenzione non prescinde quasi mai tuttora dal tangibile, a onta delle retoriche sull’immaterialità.

Governare il cambiamento nell’ambiente costruito

Il settore della costruzione e dell’immobiliare, così come altri ambiti economici e produttivi, è attualmente soggetto a una fase evolutiva di grande intensità. In Paesi come il nostro tale cambiamento è percepito alla luce della grande crisi strutturale, ben più che recessiva, che ha connotato, più o meno, gli ultimi tre lustri, mentre altrove si proviene da importanti fasi espansive.

In ogni caso, non vi ha dubbio che il combinato disposto di una serie di fenomeni stia determinando una trasformazione che, almeno in parte, si potrebbe definire, senza tema di smentita, radicale. Vale la pena di osservare come il settore stia lentamente prendendo coscienza della propria natura, per così dire, «unitaria».

In altre parole, sia pure con notevoli difficoltà, si riscontra un certo interesse per ricondurre a sistema la Domanda e l’Offerta, la componente professionale e quella imprenditoriale, il segmento della Costruzione e quello dell’Immobiliare.

Tale attitudine sembra, naturalmente, condizionata dall’esigenza, per così dire, forzata di acquisire maggiore visibilità mediatica e migliore potere negoziale nei confronti degli interlocutori, delle istituzioni politiche e finanziarie, ma resta, non di meno, il fatto in se medesimo.

Di là da situazioni contingenti, ricondurre a sistema soggetti eterogenei significa cercarne una integrazione che appartiene, sicuramente, a una concezione industriale del comparto che, però, nell’accezione consueta dipende dalla possibilità di conservare una distinzione di ruoli e di fasi temporali, come tipicamente accade per la committenza, per la progettazione, per la realizzazione, per la manutenzione/gestione.

Il racconto contemporaneo sottolinea, però, una certa qual inversione dei termini, enfatizzando il ciclo di vita dei cespiti, implicitamente richiedendo che la cosiddetta integrazione veda una più elevata commistione di ruoli, di attività e di responsabilità.

Lo stesso ciclo di vita, valorizzando la prestazionalità dei beni immobiliari e infrastrutturali, evidenzia, in qualche modo, una prossimità tra professionalismo e imprenditività, chiamati «solidalmente» a una assunzione di responsabilità nei confronti di committenti, di gestori e di utenti.
La diffusione delle forme contrattuali di carattere partenariale non fa altro che rafforzare il fenomeno, innescando, almeno in apparenza, atteggiamenti cooperativi.

Se, dunque, la categoria della collaborazione sembra potersi imporre nel medio periodo, la con-fusione che ne potrebbe derivare appare difficilmente accettabile per rappresentanze che spesso inscenano conflitti addirittura intra-corporativi: ad esempio, relativamente ai conflitti di competenze o alla natura societaria.

In realtà, rendere sistemico il settore vuol dire anche rivedere le catene del valore e, di conseguenza, non solo fare sì che vi sia una maggiore interazione tra le categorie di operatori, ma pure metterne in discussione il posizionamento e, talvolta, l’esistenza.

È palese, perciò, che sia molto impegnativo assicurare una integrazione che mantenga tratti di distinzione, ovvero permettere una riconfigurazione che riallochi gli attori nella filiera e nelle catene di fornitura senza generare, per alcuni, un ridimensionamento o persino la scomparsa, come potrebbe essere, ad esempio, coll’avvento dell’industrializzazione edilizia oppure colla digitalizzazione della distribuzione commerciale.

A complicare il già problematico quadro sta, inoltre, l’avvento dello sviluppo urbano e territoriale intelligente e sostenibile che, a titolo esemplificativo, chiama potenzialmente in causa in qualità di attori principali le utility e magari le tech company, poiché affianca alle categorie della circolarità, della decarbonizzazione, della digitalizzazione, della sostenibilità, l’innovazione sociale, dibattuta tra partecipazione e sorveglianza.

È chiaro, allora, che una simile situazione non possa che richiedere, da parte dei decisori politici, una politica industriale per l’ambiente costruito, declinabile in strategie condivise dalle parti, che permetta di governare un cambiamento i cui tratti sono oggettivamente incerti, ma che appare irreversibile, consentendo difficilmente la preservazione degli assetti attuali, al contempo, consolidati, ma già provati duramente.

Non si tratta di un compito facile: anzi, esso può apparire talora aporetico od ossimorico.
Per questa ragione, per uscire da una possibile contraddizione, occorre un confronto serrato e un dibattito franco sul futuro del settore.
L’Accademia potrebbe contribuirvi in maniera decisiva.

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