Home Smart city Quale modello per le città dopo la pandemia?

Quale modello per le città dopo la pandemia?

Resilienza, ossia capacità di rispondere efficacemente al verificarsi di situazioni estreme, digitalizzazione e sicurezza: queste saranno le caratteristiche imprescindibili per lo sviluppo delle città post Covid, alle prese con un distanziamento sociale che rischia di diventare la regola. Ne parlano con noi architetti, docenti, politici, decision maker.

Lo sviluppo della pandemia ha messo a dura prova le città, soprattutto quelle ad alta densità demografica, evidenziando una serie di nuove criticità, superabili solo attraverso la messa in atto di strategia innovative per reinventare e riadattare alcune funzioni tradizionali al nuovo stato di fatto.

Sono fondamentalmente quattro gli aspetti su cui d’ora in poi sarà necessario focalizzarsi.

Innanzitutto, una maggiore attenzione all’ambiente e alla qualità della vita in generale, seguita da un più intenso utilizzo di tecnologie innovative, come la IoT, cui delegare il controllo del territorio per garantire il rispetto del distanziamento sociale. Pensiamo ai “cani robot”, piuttosto inquietanti a dire il vero, che a Singapore sono già operativi da diversi mesi, nei parchi e in altri spazi pubblici dove il rischio di assembramento è più alto.

Il terzo obiettivo, da raggiungere in tempi brevi, riguarda la rielaborazione della mobilità individuale e pubblica in un’ottica di smart mobility che assicuri un maggior monitoraggio dei flussi di spostamento. Infine, e certamente non ultime per importanza, ci sono le nuove sfide nel campo della gestione dei rifiuti, compresa la mole di oggetti monouso e di mascherine che nel tempo di produrrà e si accumulerà.

Come ha scritto Patricia Viel, co-fondatrice dello studio di architettura milanese Citterio-Viel in un articolo recentemente apparso sulla testata Project Syndacate, “il coronavirus ci ha costretto a riflettere sul fatto che la classica formula ad emergenza-risposta non è più sostenibile. Dobbiamo andare oltre il comune e acquisito senso del progetto e imparare ad aggiornare costantemente la nostra percezione del rischio, progettando in modo più complesso, interdisciplinare e collaborativo”.

La crisi sanitaria ha imposto, quindi, un cambio di mentalità, un salto culturale. Non solo a progettisti e istituzioni, ma anche ai cittadini. Si tratta cioè di un processo collettivo e inevitabile che ha al suo centro la resilienza digitale perché è solo con un più ampio utilizzo delle nuove tecnologie che le nostre città saranno in futuro meno fragili e in grado di reagire ai traumi e difficoltà, di resistere agli urti senza frantumarsi e quindi di recuperare nel più breve tempo possibile uno stato di relativo equilibrio.

Partire dalle tre D

Il dibattito riguardo al futuro delle aree urbane– che in verità è dietro l’angolo perché il tempo stringe – è ampio e articolato.

Secondo Paola Pucci – docente di urbanistica la Politecnico di Milano – le città vanno ripensate seguendo la Teoria delle tre D, vale a dire distanziamento, digitalizzazione e desincronizzazione.

Distanziare significa trovare un giusto compromesso tra densità urbana e distacco sociale. Da un lato, quindi, ridistribuire lo spazio pubblico in funzione della mobilità attiva, con la realizzazione di piste ciclabile con interventi di allargamento dei marciapiedi, con nuove isole pedonali. Dall’altro, aumentando l’offerta di commercio e servizi di vicinato.

Il secondo punto riguarda l’estensione della digitalizzazione con piattaforme di sharing mobility. Oggi esiste un forte divario tra aree urbane e periurbane, all’orizzonte deve esserci un allargamento territoriale di questi servizi a favore di chi abita nei territori più periferici ma lavora nella cosiddetta “città densa”.

La terza parola d’ordine è desincronizzare, cioè sviluppare con una regia forte politiche che favoriscano lo sviluppo di azioni mirate a migliorare la qualità della vita dei cittadini e la qualità urbana, attraverso la progettazione e la realizzazione di interventi sui tempi e gli orari della città. In altre parole, far sì che uffici e servizi siano aperti durante il giorno in fasce orarie differenti, evitando così affollamenti e assembramenti che, se fino a pochi mesi fa erano una delle qualità più eccitanti delle città, oggi rappresentano una grave minaccia.

città

L’urbanistica diventa tattica

Milano 2020 – Strategia di adattamento, questo il nome del nuovo documento elaborato dal Comune di Milano per far fronte all’emergenza Covid. Il capoluogo lombardo è stato colpito dal Coronavirus in un momento di grande splendore, la città era proiettata verso le Olimpiadi del 2026 ed era impegnata a raggiungere una serie di obiettivi di sviluppo e di ecosostenibilità entro il 2030.

Il concetto di urbanistica tattica è certamente in forte contrasto con l’urbanistica delle grandi trasformazioni del territorio. Quello che serve ora sono soluzioni immediate ed efficaci.

«In pratica – ha commentato l’assessore all’Urbanistica del Comune di Milano Pierfrancesco Maran, lo scorso maggio, durante una teleconferenza di presentazione del nuovo piano – abbiamo dovuto invertire il nostro modo di lavorare, perché questa volta le idee elaborate devono poter essere subito messe in pratica. Oggi Milano ha bisogno di nuovi spazi pedonali e ciclabili, anche temporanei, come sta avvenendo a Londra, Parigi e Barcellona. La strategia per l’oggi impone anche di ripensare alle distanze e ai tempi: l’obiettivo si chiama “città a 15 minuti”, nel senso che tutti i servizi di cui i cittadini hanno bisogno devono essere a portata di mano e raggiungibili entro un quarto d’ora. Se ci fosse l’emergenza di un nuovo lockdown entro un raggio d’azione di 200 metri il milanese deve poter trovare tutto».

Nel capitolo sulla mobilità si evidenzia la necessità di limitare la quantità di spostamenti quotidiani, diversificando gli orari e incentivando lo smart working. F

ra le varie iniziative per gestire in modo ottimale gli spostamenti il Comune intende migliorare e diversificare l’offerta di mobilità, fare “un salto decisivo” verso un uso maggiore di biciclette, monopattini e scooter elettrici, aiutare i cittadini a programmare i propri spostamenti in modo flessibile, creando un mix fra il trasporto pubblico e altri sistemi e digitalizzare i ticket per mezzi pubblici e parcheggi a pagamento.

«In tema di mobilità – è intervenuto Giacomo Lovati, amministratore delegato di Linear Assicurazioni (Gruppo Unipol) – sarebbe interessante per la nostra azienda poter contribuire con le istituzioni mettendo a disposizione in maniera anonima i dati relativi ai flussi di traffico che noi raccogliamo ed elaboriamo. E’un patrimonio di dati molto importante che riguarda anche lo stato di manutenzione delle strade, il loro livello di pericolosità e che quindi potrebbe essere molto utile nell’ottimizzazione della mobilità».

Secondo Luigi Borrè, presidente di EuroMilano, è importante dislocare le diverse funzioni nelle varie aree della città, non solo  desincronizzando i servizi e differenziando gli orari degli spostamenti, ma progettare i nuovi quartieri con un mix di funzioni per creare così città policentriche che siano porzioni di città autonome ma non ghettizzate.

«La crisi pandemica – ha sottolineato – si affronta con lo sviluppo della digitalizzazione: ogni servizio urbano andrebbe dotato di un sistema di monitoraggio dei dati raccolti, elaborati e organizzati su una smart city platform. L’installazione di infrastrutture IT per raccogliere e condividere i dati rappresenta una misura ideale per affrontare emergenze e criticità, con la possibilità di verificare da subito se le misure messe in atto per contenere l’emergenza funzionano, oppure se è necessario reagire tempestivamente nelle aree specifiche dove queste misure non venissero rispettate».

Nuove sfide per le smart city

Quali sono le leve per consentire alle città di ripartire velocemente e vivere al meglio la “nuova normalità”?

Innanzitutto, non si può prescindere la riorganizzazione della risposta sanitaria nelle situazioni e massima criticità ed emergenza. Per individuare precocemente i rischi, gestire in maniera dinamica le risorse sanitarie e coordinare il più possibile i servizi pubblici è fondamentale lo sviluppo delle tecnologie e delle soluzioni digitali che consentano di essere molto più preparati e reattivi nell’affrontare le nuove crisi sanitarie, ma anche ambientali, economiche e sociali.

L’epoca del post-Covid costringe a riprogettare le nostre vite e i luoghi in cui viviamo. Una smart city deve essere innanzitutto una safe city, dove venga assicurata la costante analisi delle vulnerabilità e dell’adeguatezza dei servizi alla cittadinanza.

Le procedure di preallarme possono essere migliorate grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale, attraverso cui individuare con anticipo gli sviluppi di focolai e garantire beni e servizi di base, attraverso la simulazione dell’impatto che le diverse misure di contenimento potranno avere sulle prestazioni e le attività delle città.

Anche le infrastrutture di mobilità dovranno essere ampiamente digitalizzate per consentire l’erogazione di servizi avanzati e fondati sulla personalizzazione, la geolocalizzazione e il real time.

Grazie alla sensoristica e alle centrali di controllo di traffico urbano e della sicurezza stradale, sarà possibile monitorare in tempo reale gli spostamenti e prevenire situazioni di congestionamento, ma anche tenere sotto controllo gli affollamenti nei luoghi pubblici, su autobus, tram, stazioni e treni della metropolitana e negli esercizi commerciali.

L’estensione della copertura delle infrastrutture a banda ultralarga consentirà alle reti wifi di essere più performanti e veloci, così da poter reggere il notevole aumento di traffico creato dallo smart working, dalla didattica a distanza e dal tracciamento capillare degli individui attraverso le app.

Nella ripresa post Covid le città avranno un ruolo sempre più importante, saranno protagoniste di un radicale cambiamento, a patto che il Governo investa ingenti somme in opere infrastrutturali e di ammodernamento dell’ambiente urbano.

La progettazione di nuovi luoghi dell’abitare e la ricostruzione di spazi già esistenti in sintonia con le nuove necessità sarà un obiettivo prioritario affinché le persone possano convivere in totale sicurezza.

Da qui, l’importanza dell’entrata in scena della “domotica sociale”, grazie alla quale sarà possibile – tramite l’utilizzo dell’informatica, della telematica e dello IoT – rendere i quotidiani ambienti di vita e lavoro il più possibile accessibili.

Dal design, nuove idee per il futuro

«Data la centralità del ruolo del design nel dibattito pubblico sulla fase due, siamo stati chiamati in causa a immaginare il futuro degli spazi per progettare rapidamente un ritorno in sicurezza in quella che sarà la nuova quotidianità». A Milano un gruppo di esperti nel settore dell’architettura, della tecnologia e del design ha costituito una task force promossa dal Design Tech Hub di Mind Innovation District.  Ideato dalla società Hi-Interiors, questo progetto ha coinvolto alcuni tra i più importanti studi di architettura e design nazionali e internazionali, a fianco di professionisti e aziende di riferimento nei rispettivi ambiti di attuazione.

L’obbiettivo?

Mettere a punto un documento programmatico da consegnare alla società e alle istituzioni dove è stata raccolta una serie di soluzioni per superare la crisi sanitaria ed economica, basate sullo sviluppo dell’innovazione tecnologica.

Si tratta di un inedito white paper sul ruolo del design post Covid sviluppato attraverso 19 tavoli di lavoro tematici che punta a tracciare linee guida e a fornire spunti concreti per lo sviluppo – nel breve, medio e lungo termine – di possibili soluzioni che integrino design e tecnologia per trasformare i diversi spazi in cui la vita quotidiana riprenderà.

Dal real estate all’education (e alla ricerca), dall’abitare (anche per target più fragili e per soluzioni di co-living) agli spazi ufficio, con la declinazione specifica del mondo delle banche, dai luoghi della salute ai ristoranti, dal mondo retail a quello dell’accoglienza, fino a un focus sulla mobilità, sulla social innovation e sulla supply chain, con attenzione particolare anche agli spazi pubblici.

Il documento DesignTech for Future raccoglie i contributi di tutti gli studi di progettazione coinvolti. I punti di riferimento comuni, relativamente all’approccio che il design dovrà assumere, al di là delle esigenze specifiche di ogni disciplina, sono essenzialmente tre: sostenibilità, tecnologia, flessibilità.

Tra le principali soluzioni individuate dalla task force la progettazione e realizzazione di edifici resilienti a emissioni zero (naturalmente bioclimatici e sostenibili) che verranno “assemblati”, perché pensati per avere un ciclo di vita determinato da stabilire a priori con la possibilità, una volta giunto al termine, di smontarli pezzo per pezzo, anziché demolirli.

Questi edifici saranno costruiti in blocchi e i moduli interamente riciclabili in nome dell’economia circolare, e naturalmente progettati in modo biodinamico. Avranno sistemi di aereazione e regolazione della temperatura comandati da camini solari e torri del vento, saranno illuminati con luce naturale e dotati di soluzioni isolanti e di schermatura solare. Altre caratteristiche innovative dei nuovi edifici saranno i sistemi di scanning all’entrata con l’utilizzo di tecnologie contactless e wireless, di voice control e riconoscimento facciale per ridurre il contatto con eventuali superfici contaminate.

All’interno ogni ambiente beneficerà di sistemi di ventilazione naturale con impiego di dispositivi di sanificazione con raggi ultravioletti. Per la costruzione sarà privilegiato l’uso di materiali germo-repellenti come rame, bronzo, ottone più altri composti sintetici.

L’arredamento, sia negli uffici che nelle abitazioni, sarà flessibile, con mobili su rotaie per poter modificare e adattare gli ambienti al cambio continuo di utilizzo.

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