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Smart city, quanta intelligenza chiedono i cittadini

I centri urbani sono realtà in perenne evoluzione, sono organismi viventi in continua trasformazione grazie alle persone che vi abitano e il modo in cui vivono e interagiscono: il fine principale che ogni intervento smart sulle città deve porsi è aumentare la qualità della vita dei residenti e di tutti coloro che per motivi diversi vi gravitano, gestendo questo cambiamento nel modo più sostenibile possibile, perché una città intelligente altro non è che una città più efficace.

Si parla tanto di smart city, ma in che cosa consiste esattamente l’intelligenza di una città?

In verità, una città smart non nasce solo dall’innovazione tecnologica, ma dalla grande attenzione verso i cittadini e la comunità, infatti la tecnologia acquisisce significato quando viene impiegata per migliorare la democrazia e la governance, garantendo alla collettività e agli individui la possibilità di partecipare direttamente alla pianificazione urbana.

Più che un modello astratto e universale la città intelligente è un approccio che può essere adottato da una comunità unita e consapevole che vuole collaborare attivamente con le istituzioni grazie a strumenti tecnologici che facilitino l’espressione, la condivisione e la connessione fra queste parti. Ciò che ci deve essere alla base è una reale comprensione e consapevolezza dei problemi da parte dei governi locali e dei cittadini stessi.

Misurare il livello di smartness di una città non è in effetti un’operazione così semplice. Esistono però criteri di valutazioni fondamentale dai quali non si può prescindere: una città è intelligente quando sono le persone che vi abitano a essere al centro di un processo di sviluppo fondato sull’economia sostenibile, sull’utilizzo delle tecnologie integrate, una comunità urbana dove l’efficienza e la produttività vanno di pari passo con la sostenibilità e l’alto valore sociale, un luogo dove le risorse naturali vengono gestite con consapevolezza, anche attraverso la partecipazione attiva dei cittadini che devono essere coinvolti nelle diverse fasi di questa evoluzione.

Se l’obiettivo è ripensare a un ambiente-città più funzionale, creativo e rispettoso della qualità della vita e dell’ambiente, è chiaro che l’intero progetto deve mettere in primo piano innanzitutto coloro che quotidianamente vivono la città, trasformandola e rendendola attiva.

Il punto quindi non è solo il raggiungimento di alti livelli di tecnologia digitale, ma la capacità di rendere questi strumenti innovativi facilmente utilizzabili dai cittadini. I cosiddetti smart citizen hanno infatti a disposizione una immensa quantità di informazioni generate contemporaneamente da canali diversi che vanno, però, sapute gestire.

«Spesso la narrazione delle smart city è parziale – ha dichiarato Fabio Brioschi, responsabile ufficio stampa presso EuroMilano, nel corso di un convegno svoltosi lo scorso dicembre a Milano, dal titolo Big Data e smart city: privacy, informazione e qualità della vitail problema è che la si racconta solo in termini tecnologici: si parla di super asfalto, di fibra ottica, di panchine intelligenti e così via, ma si evidenziano solo piccoli pezzi di città senza darne una visione globale».

Una città intelligente è tale se consente ai suoi cittadini di vivere in modo smart, attraverso quindi un’attenta analisi delle esigenze reali e concrete per poter dare risposte utili e innovative.

Trasformare centri urbani in smart city diventa così possibile solo coinvolgendo i cittadini in una vera democrazia partecipativa, senza calare dall’alto le decisioni. Nei diritti digitali andrebbe seguito lo stesso principio dei diritti umani: nessuno deve essere discriminato, nessuno deve rimanere indietro.

«Le città di domani vanno ridisegnate dal basso – ha continuato Brioschi – partendo dai dati che vengono prodotti a milioni da smartphone, sensori e videocamere. Se correttamente utilizzate, tutte queste informazioni vanno aggregate ed elaborate con la finalità di offrire soluzioni e servizi migliori, come il monitoraggio dell’inquinamento ambientale, una viabilità più efficiente, soccorsi più celeri e lo sviluppo della telemedicina che permette la cura di un paziente a distanza».

La web democracy di Barcellona

«Le città possono utilizzare il potere della tecnologia e dell’innovazione digitale per beneficiare tutti i cittadini e favorire un’economia più sostenibile, plurale e collaborativa. Introdurre tecnologie digitali nell’ambiente urbano non vuol dire semplicemente dotare la città di sensori, connettività e dispositivi tecnologici. Bisogna partire da obiettivi e temi più ambiziosi che richiedono nuovi modelli politici ed economici di funzionamento delle città, con sfide di lungo periodo riguardanti questioni come la disparità salariale, l’edilizia popolare e il diritto alla casa, la mobilità sostenibile e la lotta alla corruzione del settore pubblico. Integrando l’intelligenza collettiva dei cittadini ai processi decisionali politici attraverso metodi di democrazia partecipativa, queste sfide strutturali si possono affrontare meglio e risulta più facile dare delle risposte in linea con i bisogni della popolazione». 

Sono parole di Francesca Bria, romana di origine, laurea in economia e oggi assessora all’innovazione tecnologica nella giunta della sindaca Ada Colau a Barcellona. Una città che ha scelto di diventare smart ribaltando il classico paradigma: non partendo, cioè, dalla tecnologia, dalla connettività e dall’installazione di sensori, ma dalla messa a punto di una piattaforma digitale – Decidim Barcelona – per consentire ai barceloneti di partecipare alla creazione del programma di governo del Comune.

Più di 400 mila cittadini hanno così potuto prendere parte al progetto sia online (attraverso la piattaforma), sia offline alla vecchia maniera, cioè con assemblee cittadine sul territorio.

Il risultato è stato che le proposte giunte dai residenti attraverso entrambi i canali sono state filtrate e analizzate dalla giunta e che il 70% delle azioni intraprese dal Comune sono derivate dalle consultazioni con i cittadini.

Oggi a Barcellona sono una ventina i processi di partecipazione in corso per la progettazione di nuovi servizi urbani: si va dalle piste ciclabili alle politiche energetiche e culturali.

Ad avere la massima priorità sono i temi ambientali. Per esempio, è stata creata una nuova impresa pubblica per la transizione energetica che produce energia solare per tutti gli edifici municipale e per un campione pilota di 20 mila case private.

L’innovazione serve anche a potenziare la mobilità sostenibile: tutti i veicoli pubblici di Barcellona sono elettrici, le piste ciclabili sono state triplicate, così come il numero di biciclette in sharing che il Comune ha messo a disposizione. Inoltre, sono stati creati 12 “super blocchi”, vale a dire 12 ampie aree in altrettanti quartieri dove è stato vietato l’accesso alle macchine. In questo modo, la città ha recuperato il 60 per cento degli spazi pubblici, trasformandoli in isole pedonali e giardini.

Barcellona ha 700 km di fibra ottica e una vasta rete di sensori nei cassonetti dei rifiuti, nelle strade, nei lampioni e nei parchi. I sensori trasmettono dati importanti: si può sapere così se un contenitore dell’immondizia è stato svuotato e quali tipo di rifiuti, si è in grado di ottimizzare i trasporti o la gestione dell’acqua e dell’energia.

In pratica, nella smart city catalana, la sua produzione di dati in tempo reale aiuta l’amministrazione comunale a prendere decisioni migliori. La privacy è comunque garantita perché la piattaforma è sicura e i dati dei singoli cittadini non sono conosciuti neanche da chi li gestisce perché vengono utilizzati sistemi decentralizzati e crittografici di ultima generazione basati sulla blockchain. La città sta promuovendo un patto sociale sui dati con la creazione di un modello di gestione democratico dove i dati vengono controllati dai cittadini stessi e non finiscono solo nelle mani delle grandi piattaforme digitali, ma vengono messi a disposizione di giornalisti, imprese, start-up che possano quindi utilizzarli per migliorare i loro progetti o iniziative. I big data – che il Comune di Barcellona considera un’infrastruttura pubblica al pari degli acquedotti, delle centrali elettriche e delle strade – rappresentano così un valore aggiunto anche per l’economia locale.

Smart City e Big Data

L’abbondanza di informazioni e la loro analisi possono avere grandi ricadute sul trasporto l’ambiente la salute e la sicurezza di una città. Per esempio, qualunque mezzo di trasporto può essere monitorato, individuando così le aree e gli orari di massima congestione e i possibili percorsi alternativi.

Quindi la smart city potrebbe rispondere sia in maniera istantanea sia strategica. L’elaborazione dei dati raccolti aiuterebbe cioè a individuare la direzione che lo sviluppo urbanistico dovrebbe seguire, oppure indicherebbe il posizionamento migliore di fermate e stazioni, certamente favorirebbe un funzionamento più efficace dei semafori e darebbe consigli utili su quali linee pubbliche rafforzare e quali alleggerire.

In tema di sicurezza e salute l’analisi dei Big Data può creare una “mappa dei reati”, evidenziando le aree più a rischio. Capire dove si concentrano infrazioni e delitti non consentirebbe solo di concentrare le forze di polizia, ma indicherebbe metodi di prevenzione che possono essere – sempre attraverso lo studio dei dati – testati e corretti. La sinergia fra intelligenza artificiale e big data, oltre a fornire in tempo reale e una fotografia dell’esistente, può avere un potere predittivo grazie all’utilizzo di modelli e algoritmi.

Le città possono, inoltre, raccogliere miliardi di dati sulle fonti di inquinamento e di spreco. La gestione degli edifici, del trasporto, dell’energia e dei rifiuti può essere ottimizzata, perché non tutte le situazioni di inefficienza sono visibili a un occhio umano. Sensori e intelligenza artificiali sorvegliano produzioni di sostanze inquinanti, reti elettriche e idriche. Le città potrebbero ridurre del 10-15 per cento le emissioni, far risparmiare ogni giorno da 25 a 80 litri di acqua per ogni individuo e far produrre dai 30 ai 130 kg di rifiuti solidi in meno. Non solo a vantaggio l’ambiente, ma anche delle le casse di famiglie, imprese ed enti pubblici.

Filippo De Vita, responsabile di Vodafone Analytics & Digital Solutions Marketing presso Vodafone Business, sottolinea che esiste una netta differenziazione fra dati personali – quelli che vengono presi in considerazione nel nuovo regolamento sulla Privacy – e non personali: dati dai quali è impossibile cioè risalire a una persona o a un gruppo di persone specifici. Questi ultimi sono dati che generano comunque un valore e che non riguardano il mondo del “chi”, ma del “che cosa”, possono cioè descrivere cosa è accaduto in un particolare territorio, evidenziare tendenze dominanti e flussi di spostamento.

Vodafone Analytics ottiene le informazioni in maniera innovativa, dalle celle telefoniche, generando 44 milioni di dati, cosiddetti grezzi, in un minuto (milioni di email, tweet, ricerche online, visualizzazioni, messaggi sui social, eccetera). Questi vengono estratti e anonimizzati, grazie ad algoritmi studiati ad hoc, nel totale rispetto della privacy.

La localizzazione dei dispositivi mobili e la gestione della rete consentono di offrire alle aziende informazioni molto utili, “fotografando” gran parte di ciò che i clienti fanno con i loro dispositivi: permanenza media in un luogo, durata delle chiamate, siti web visitati, comportamenti di acquisto, applicazioni preferite, età, genere, nazione di origine, tipo di dispositivo utilizzato. Tutti questi dati che evidenziano comportamenti geo-temporali, se combinati con informazioni fornite da terze parti, permettono di mettere a fuoco tendenze collettive che possono risultare molto utili alla pubblica amministrazione. In pratica, viene creato un patrimonio informativo di conoscenza estremamente interessante sul piano sociale.

C’è quindi una grande differenza tra vendere informazioni a scopo pubblicitario (come fanno i vari Google, Facebook, Apple) – e trattare questi big data. Nel secondo caso, le informazioni vengono elaborate e restituite al territorio con un valore aggiunto, quello che si restituisce è anche la consapevolezza di come i cittadini – e in particolare gli smart citizen – siano una inesauribile fonte di produzione di dati.

Un laboratorio di sperimentazione della città intelligente

Amsterdam è una città efficiente e ampiamente digitalizzata. Gode infatti di una notevole reputazione come luogo d’innovazione. Tuttavia, si contraddistingue anche per la mancanza di un masterplan dedicato alla smart city, seppur mostri da sempre un’attenzione notevole verso la sostenibilità.

Nella città olandese esistono due declinazioni del paradigma smart: la prima che si basa su una visione più tecno-centrica, con la messa a punto di progetti pilota negli ambiti di ambiente, energia e mobilità per selezionare quelli a minor impatto ambientale.

La seconda, invece, prevede che le potenzialità tecnologiche vengano plasmate sulle esigenze della collettività, favorendo in particolare modo la partecipazione dei cittadini e la coproduzione dei servizi urbani. In sostanza, a livello di governance, si predilige un approccio aperto, trasparente e botton-up che includa tutti gli stakeholders.

Amsterdam è attiva sul tema città intelligenti già da tempo. La città ha promosso una partnership tra più di 70 soggetti pubblici e privati per creare i servizi e le infrastrutture adibiti al raggiungimento dei diversi traguardi.

Si tratta di un progetto ambizioso che punta a vincere molteplici sfide nate dall’adesione della città al Climate Vision: documento che racchiude obiettivi specifici da raggiungere entro il 2025, vale a dire la riduzione degli sprechi energetici e delle emissioni di sostanze inquinanti, la creazione di un ambiente e di un’economia che vada incontro alle esigenze dei residenti e delle imprese, la riduzione delle spese comunali. Nel 2007 è nata Amsterdam Smart City – più nota come Asc – una piattaforma pubblica che si pone l’obiettivo di consentire la cooperazione con i cittadini e con i diversi stakeholders del territorio al fine di testare e favorire la nascita di nuove forme di partnership pubblico-private.

La collaborazione tra pubblico e privato ha permesso alla città di avviarsi lungo un percorso di innovazione che passa attraverso l’attenzione all’ambiente e la condivisione dei dati. Decine sono i progetti presenti sulla piattaforma Amsterdam Smart City che vede la collaborazione del Comune della città olandese con Cisco e aziende del calibro di Ibm, Accenture e Honeywell.

Una città intelligente che si progetta e realizza all’interno di una community digitale che si incontra in Amsterdam Smart City. Tuttavia, questa smartness viene tendenzialmente comunicata e percepita in modo più ampio, come stile di vita, benessere e sostenibilità.

La piattaforma raccoglie i progetti innovativi utili a migliorare l’impronta ambientale della città e funge da catalizzatore per la discussione e realizzazione di idee all’avanguardia e di elevato impatto in termini di riduzione delle emissioni CO2.

Con il tempo, Asc si è allargata a temi anche sociali, legati a governance, educazione e, più in generale, vivibilità.

Oggi la piattaforma Amsterdam Smart City individua sei filoni all’interno dei quali categorizzare i progetti. Questi sono: infrastrutture e tecnologie, energia, acqua e rifiuti, mobilità, città circolare, governance ed educazione, cittadini e qualità della vita.

La particolarità consiste nel fatto che periodicamente queste etichette vengono riviste, proprio perché non sono stati definiti su carta dei criteri specifici di azione. Nel caso di Amsterdam la mancanza di un masterplan per la smart city si è rivelato una forza: lasciando che Asc fosse una piattaforma aperta all’iniziativa di imprese e cittadini, il numero di progetti con potenziale green testati è molto elevato.

Al 2018 si contano oltre 230 progetti, dall’installazione di sensori alla creazione di un network per riutilizzare la CO2 come materia prima al posto di materiali fossili (CO2 Smart Grid), ad app per la sensibilizzazione dei cittadini.

La piattaforma è una forma di comunicazione trasparente e aperta, in continuo aggiornamento, sulla smartness in generale (in particolare progetti, collaborazioni attivate, eventi, ma anche tesi e ricerche sul tema). Secondo quanto definito dalla stessa Asp, “una città smart invita a dei cambi di paradigma: dal comune alla comunità; dal centralizzato al decentralizzato; dall’up-botton al bottom up”.

1 COMMENTO

  1. Per le città italiane il problema maggiore è la scarsa propensione degli amministratori pubblici a “…migliorare la democrazia e la governance, garantendo alla collettività e agli individui la possibilità di partecipare direttamente alla pianificazione urbana”. Inoltre manca completamente un programma nazionale di azione per questo argomento

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