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Vetrate fotovoltaiche: il vetro che produce energia

Un’idea innovativa, nata nel 2016 in uno spin-off dell’Università Bicocca di Milano, grazie alle ricerche di due docenti – Sergio Brovelli e Francesco Meinardi, della facoltà di Scienze dei Materiali – che hanno unito le rispettive competenze per mettere a punto una particolare nanotecnologia che consente alle vetrate dei fabbricati di raccogliere l’energia solare e garantire così l’autosostentamento energetico.

Una scoperta scientifica che non è passata inosservata alla società di scouting e consulenza tecnologica Management Innovation: il suo fondatore, Emilio Sassone Corsi, ha raccolto la sfida, seguendo lo sviluppo del progetto e individuando le possibili fonti di finanziamento.

Da qui la nascita della startup trentina Glass to Power con sede a Rovereto e a Milano che da allora – anche tramite tre iniziative di crowdfunding – ha fatto molta strada. Infatti, si è trasformata in Spa nel 2018, ha depositato 23 brevetti in tutto il mondo (in parte legati alle nanoparticelle e in parte al loro utilizzo nelle vetrate) e ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti internazionali.

Nel gennaio del 2021 le vetrate fotovoltaiche hanno ottenuto la certificazione Ce e così sono state finalmente messe sul mercato. Lo scorso febbraio la società ha raggiunto un ambizioso traguardo, quello di essere quotata alla Borsa di Parigi. Una rapida ascesa a soli sei anni dalla sua costituzione.

Una questione di nanoparticelle

Le finestre fotovoltaiche sono la prossima frontiera nel settore delle energie rinnovabili in quanto permettono di aumentare notevolmente le superfici di un edificio sfruttabili per la produzione di energia elettrica, senza però modificarne l’estetica.

Queste vetrate innovative migliorano gli standard progettuali degli edifici in vetro strutturale e sono caratterizzate – rispetto ad altre soluzioni similari ma non troppo – dall’alto grado di trasparenza ottenuto, un plus reso possibile grazie alla tecnologia LSC (Luminescent Solar Concentrators, o dei concentratori solari luminescenti).

In pratica, in una lastra di plexiglass vengono disciolte delle nanoparticelle inorganiche – a base di indio – che riescono a intercettare la luce e a convertirla in raggi infrarossi. Questi ultimi vengono quindi intrappolati come in un intreccio di fibre ottiche all’interno di questa matrice di plexiglass, estendendosi poi verso i bordi, dove sono state posizionate delle sottili strisce di celle fotovoltaiche di silicio (invisibili perché nascoste dall’infisso) che trasformano i fotoni infrarossi in elettricità.

Gli LSC sono essenzialmente incolori, creano solo una lieve sfumatura ambrata, un requisito indispensabile per una loro semplice integrazione architettonica. Questa tonalità non inficia la trasparenza, ma crea solo un effetto “occhiali da sole”. Il grado di colorazione dipende dalla concentrazione di nanoparticelle: più è elevata più aumentano le performance della vetrata.

Le lastre di plexiglass rimangono protette perché vengono inserite nelle vetrocamere a doppio o triplo vetro che normalmente equipaggiano gli attuali infissi convenzionali, trasformandoli a tutti gli effetti in pannelli solari trasparenti. Le vetrate, oltre a produrre energia elettrica, attuano isolamento termico e acustico e concorrono a rendere autonomi gli edifici riducendo i fabbisogni energetici, fino ad allinearli agli standard Near Zero Energy Building (NZEB). La produzione di energia elettrica può arrivare a 20 Wp /m2.

Il vantaggio di questa tecnologia è che può fare a meno dell’irraggiamento diretto, perché i concentratori solari luminescenti funzionano anche in giornate non completamente assolate. Stessa cosa per il Tilt, cioè per l’angolo di inclinazione rispetto al suolo, che in questo caso non è un requisito fondamentale per raggiungere performance elevate.

Prestazioni inferiori e superfici maggiori

Rispetto a un pannello fotovoltaico tradizionale l’efficienza di queste vetrate è intorno al 10 per cento, quindi di molto inferiore. Tuttavia, potendo coprire ampie porzioni di edifici, la scarsa resa viene bilanciata dalle vaste superfici di applicazione: basti pensare ai grattacieli, ai gradi complessi di edilizia residenziale o a spazi pubblici come stazioni e aeroporti.

Glass to Power

Il livello di prestazione di una vetrata può variare anche in relazione alla sua forma. A parità di superficie, le lastre quadrate (o tonde) sono infatti meno efficienti rispetto a quelle rettangolari. La ragione è semplice: per esempio le vetrate di 8 x 3 metri – le cosiddette Jumbo, oggi le più richieste – sono quelle più performanti perché la forma stretta e lunga consente alle nanoparticelle di fare meno strada dal centro per raggiungere il bordo dove sono disseminate le celle fotovoltaiche.

Il mercato principale per questa tipologia di prodotto resta quello delle facciate continue e delle coperture, quindi gli uffici, gli edifici industriali, gli ospedali, i centri commerciali. Tuttavia, è possibile ipotizzare altri ambiti di applicazione interessanti, come per esempio le serre utilizzate in agricoltura, i giardini d’inverno residenziali, i parapetti trasparenti dei balconi, oggi molto diffusi nelle nuove abitazioni. Per non parlare, poi, delle barriere fonoassorbenti sulle autostrade, un’idea che per ora resta ancora progetto nel cassetto.

Innovazioni complementari

Le vetrate fotovoltaiche sono quindi una grande risorsa per lo sviluppo delle città intelligenti, ma non vanno confuse con le smart window, cioè con le finestre di ultima generazione dotate di vetri particolari che riescono a modificare la quantità di luce – e di calore trasmesso – all’interno di un edificio, quando si verifica un incremento della temperatura esterna. In partica, con l’aumentare dei gradi queste vetrate mutano colore e composizione, da trasparenti diventano opache così da non permettere il passaggio di alcune lunghezze d’onda della luce e il surriscaldamento degli ambienti, garantendo un minor utilizzo dell’aria condizionata e un significativo risparmio energetico.

In un’ottica di realizzazione di edifici NZEB è fondamentale – secondo i vertici di Glass to Power – poter collaborare con tutti i potenziali partner che operano nei vari ambiti dell’innovazione, condividere i risultati e continuare a perfezionare le varie tecnologie: non si può parlare di competitor in questo settore, ma piuttosto di aziende che sviluppano, e a volte condividono, scelte d’innovazione complementari con le quali si riescono a portare avanti progetti ad ampio respiro.

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