La nuova frontiera della progettazione si chiama generative design. Nato dall’idea di utilizzare l’intelligenza artificiale a supporto dell’attività del progettista, questo metodo di lavoro consente di migliorare e velocizzare i processi d’ideazione e creazione.
In verità, riguardo alla libertà di creazione qualcuno potrebbe storcere il naso, puntualizzando che l’obbligo di dover comunque dipendere da un insieme di algoritmi che processano dati e sviluppano infinite possibilità di combinazioni, può far sorgere il ragionevole dubbio che l’ingegno e la fantasia del progettista vengano sopraffatti e messi da parte dall’efficienza del computer. Un dubbio certamente legittimo, anche se in realtà le cose stanno diversamente.
Come funziona il generative design?
All’architetto o al designer, per prima cosa, spetta il compito di impostare gli obiettivi e i vincoli relativi al progetto, utilizzando un software specifico e inserendovi dati quali la tipologia di materiale, il peso, le possibili prestazioni, i costi.
A questo punto, il computer analizza il tutto e attraverso gli algoritmi e genera migliaia di opzioni sulle quali vengono evidenziate le diverse prestazioni. Il progettista il questo processo non è passivo, perché ha il compito di valutare le svariate alternative e, se necessario, modificare gli obiettivi e i vincoli originari, per focalizzare al massimo il risultato finale. Da lì in poi, il computer valuta le nuove informazioni e si rimette al lavoro.
In sostanza, esiste una forte sinergia fra progettista e intelligenza artificiale: insieme, attraverso una serie di passaggi fondamentali che puntano a definire in maniera sempre più specifica quello che dovrà essere il prodotto finale, istinto umano e algoritmi riescono così a portare alla luce la migliore soluzione fra tutte quelle generate.
Ecco che, contrariamente a quanto affermano i detrattori di questa tecnologia, la creatività di chi progetta viene incentivata grazie all’ideazione di un numero incredibile di possibilità che consente a designer e architetti di esplorare e sperimentare opzioni inattese e inconsuete.
Il generative design, tuttavia, offre anche altri vantaggi. Per esempio, sotto ilo profilo economico, perché le simulazioni e i test vengono effettuati nella primissima fase di progettazione, evitando così modifiche costose durante la produzione dell’oggetto o la realizzazione di parti di edificio.
Per non parlare della riduzione dei tempi: è evidente che il computer genera migliaia di progetti nel mentre in cui il designer riuscirebbe sì e no a elaborane uno, quindi accelera il processo di creazione. Inoltre, sempre a beneficio della fantasia, con il design generativo e la stampa 3D è possibile dar vita a geometrie estremamente complesse e inusuali, impossibili da concepire con altre metodologie.
Come cambia il ruolo del progettista
Dall’inizio del nuovo Millennio qualcosa è cambiato nel modo di concepire l’idea di architettura e design. Innanzitutto, la metodologia Bim ha rivoluzionato il modo di intendere la progettazione, realizzazione e manutenzione nel tempo di edifici e infrastrutture.
A questo approccio che mette al centro il modello virtuale (che è l’esatta copia di quanto verrà costruito in un secondo tempo), ha fatto seguito la grande innovazione del generative design , tecnica che attraverso codici e algoritmi è in grado di creare prendendo spunto dalla natura e dando origine a infinite varianti della stessa forma.
Quello che è fondamentale nella progettazione è il giusto equilibrio fra creatività e controllo. L’approccio generativo utilizza sofisticati strumenti interattivi per accelerare e amplificare la fantasia umana, servendosi della tecnologia digitale per esplorare i processi creativi. Quindi, offre ad architetti e ingegneri l’opportunità di raggiungere risultati progettuali fino a poco prima inimmaginabili.
È evidente che per un umano l’elaborazione di forme così originali e complesse sarebbe impossibile. Tuttavia, il risultato della progettazione si ottiene proprio da una forte sinergia fra l’idea del progettista che acquista un incredibile potere di evoluzione attraverso lo strumento digitale e i limiti imposti dall’architetto mediante precisi vincoli e parametri, entro i quali questo flusso creativo che sembrerebbe del tutto incontrollato e libero, è invece costretto a stare.
Un concetto che il noto designer Joel Hesselgren ha saputo sintetizzare in modo molto efficace: “Il generative design non ha a che fare con la progettazione di un edificio, ma con l’ideazione di un sistema per progettare un edificio”.
In sostanza nel generative design l’obiettivo è il processo e non solo il risultato. Questo significa che l’attenzione del progettista è focalizzata innanzitutto sull’iter di progettazione, prima ancora che sul prodotto finale: la nuova sfida allora è controllare il processo così da ottenere il miglior risultato, selezionare quindi da una gamma immensa di possibilità quella che più corrisponde alla sua idea di progetto.
“Purtroppo, c’è molta miopia – commenta Ilaria Lagazio, Structural Engineer and Senior Technical Sales di Autodesk – ed è diffusa l’idea che l’automazione e l’intelligenza artificiale, nel giro di pochi anni, porteranno via il lavoro, lasciando tanti a casa. È una convinzione che ci portiamo dietro dai tempi delle catene di montaggio, ma che non trova conferma nella realtà dei fatti. Oggi i progettisti hanno la responsabilità di svolgere al meglio il proprio mestiere, ma anche di gestire bene questa fase di grande trasformazione. Il generative design è uno strumento che aiuta a progettare a un livello qualitativo superiore, con tempi e costi inferiori che consente quindi di espandere, e non di reprimere, le capacità insostituibili dell’uomo. C’è differenza tra fare le cose meglio e fare cose migliori: nel primo caso l’algoritmo replica quello che facciamo noi come persone, quindi sostituisce il lavoro dell’uomo, senza creare però innovazione sul piano qualitativo. Fare cose migliori invece significa progettare in maniera diversa, elevare la qualità dei prodotti. Significa anche che in una società dove si utilizza il generative design la manodopera non verrà dimezzata, ma semmai istruita a operare con metodologie differenti”.
In un futuro non troppo lontano per il progettista il modello non sarà più l’obiettivo della sua rappresentazione, ma diventerà un laboratorio di analisi. Non gli verrà più richiesto questo o quel progetto di edificio, ma gli verrà posta la domanda “qual è la migliore realizzazione possibile in relazione alle condizioni del contesto generale?”. A questo punto si aprono nuovi scenari e il progettista avrà ulteriori responsabilità da assumersi e grandi sfide da affrontare per essere in grado, grazie al progresso delle tecnologie, di fornire un valore aggiunto.
“La capacità e la creatività del progettista – conclude Ilaria Lagazio – riguardano la lettura e l’interpretazione dei risultati generati. In pratica, l’algoritmo va guidato con cognizione di causa. Il progettista deve avere la sensibilità di comprendere come è meglio orientarlo. È questa è la collaborazione fra uomo e macchina, una collaborazione intelligente e proficua. L’intelligenza artificiale, che spesso è vista come una minaccia, dovrebbe chiamarsi intelligenza naturale, perché la logica su cui si basa, fondata sulle leggi della fisica, non è altro che quella della natura. Le forme create dall’algoritmo sono appunto forme generative”.
Architetture inimmaginabili e tuttavia possibili
Se combinato con il Bim, il generative design permette di sommare ai vantaggi della modellazione informativa quelli ancora poco esplorati della progettazione generativa.
Quest’ultima utilizza, appunto, l’intelligenza artificiale per processare parametri matematici e geometrici complessi al fine di ottenere un modello digitale della soluzione che si stava cercando. Per riuscire a padroneggiare un sistema così innovativo è necessario tuttavia uno scatto mentale: non bisogna più pensare alla forma, ma selezionare i corretti parametri da utilizzare e da cui la forma emerge. Un processo che ha bisogno di una buona dose di matematica e geometria.
Il machine learning insegna ai computer a imparare dall’esperienza, attraverso algoritmi che usano metodi matematico-computazionali per apprendere informazioni direttamente dai dati, senza modelli matematici ed equazioni predeterminate. I
l trend del futuro vedrà la ricerca di una sempre maggiore interazione tra uomo e macchina, in uno scenario di Co-Design in cui progettista e software cooperano creativamente alla definizione del progetto.
Non mancano in architettura casi esemplari di questa sinergia fra uomo e macchina. Una tra le prime opere a essere realizzata con questa modalità è stato il Centro Acquatico Nazionale di Pechino (più noto come Water Cube), costruito in occasione delle Olimpiadi del 2008.
Quello che più colpisce è la copertura della struttura, composta da ben 3.065 cuscini d’aria, azzurro-violacei, tutti di misure diverse. Un’opera che ha un forte impatto visivo: la forma assomiglia a un insieme di bolle irregolari e il colore varia a seconda delle ore del giorno e delle condizioni climatiche. Un’affascinante struttura reticolare tridimensionale sostiene le bolle, realizzate in Etfe (materiale plastico traslucido e resistente, simile al teflon) che sono state assemblate prima di essere poste in opera e quindi gonfiate. Un sistema di controllo gestisce il pompaggio continuo delle bolle. Sfruttando la doppia pelle trasparente l’edificio riduce la quantità di energia necessaria per mantenere costante la temperatura delle piscine. L’Etfe consente di trattenere trattiene il 20 per cento dell’energia solare.
Durante il giorno Water Cube utilizza la luce naturale, risparmiando il 55% di energia necessaria all’illuminazione e di notte, quando gli spazi interni sono illuminati, brilla come un caleidoscopio. Sempre in tema di sostenibilità, nella struttura viene raccolto e riciclato l’80% dell’acqua piovana. L’insolita geometria dell’intelaiatura consente, inoltre, di rispondere efficacemente ai requisiti antisismici imposti dalle particolari caratteristiche del luogo.
A un primo sguardo l’edifico dà quasi l’impressione di un sistema naturale creatosi per caso. Nella realtà è chiaramente il risultato di uno studio matematico rigoroso che ha consentito di dar vita a una struttura tanto insolita e a creare l’effetto straniante delle bolle d’acqua.
Generative design di quartiere
In collaborazione con Autodesk, nel 2017 la società olandese Van Wijnen, all’avanguardia nella realizzazione di sistemi di alloggio prefabbricati e modulari, ha sviluppato uno strumento per la creazione di interi quartieri. Alimentando il software con obiettivi prestabiliti, ad esempio, il potenziale di energia solare, i profitti del programma, i costi, le dimensioni del cortile, la varietà di progetti e visualizzazioni, lo strumento è in grado di generare innumerevoli opzioni di layout di isolati e lotto.
L’obiettivo era applicare per la prima volta alla scala urbana il generative design per progettare un’area residenziale a energia zero per famiglie a basso reddito nella cittadina di Alkmaar, a nord di Amsterdam, esplorando le possibilità di layout delle aree residenziali sulla base di parametri finanziari, sociologici o ambientali.
Innanzitutto sono stati analizzati i vincoli inseriti nel codice di costruzione locale per verificarne la compatibilità con ogni opzione di progettazione. Questo ha incluso le battute d’arresto, l’orientamento dei fabbricati, le altezze massime degli edifici e la posizione di accesso stradale, così come le esigenze e gli obiettivi di progetto degli sviluppatori, compresa una gerarchia di circolazione interna al sito per auto, pedoni e ciclisti, nonché un insieme di regole e impostare quantità di spazi di parcheggio.
Un esempio, quindi, di progettazione urbana generativa. Il lotto individuato nel quale inserire i nuovi fabbricati – sia case unifamiliari che plurifamiliari – non era completamente vuoto, c’erano altri edifici residenziali preesistenti.
Quindi, era necessario definire una tipologia architettonica che si potesse inserire con armonia in questo contesto. Sono stati definiti vincoli e parametri: limite dei costi, ottimizzazione degli spazi interni ed esterni, requisiti di sostenibilità ambientale (ad esempio, calcolo dell’orientamento delle facciate e della migliore esposizione solare).
Sempre tramite generative design è stata studiata la più efficiente suddivisione del lotto e dei percorsi viabilistici. Una volta terminata la fase di produzione delle svariate alternative, la selezione è stata perfezionata con l’inserimento nel software di ulteriori algoritmi di tipo evolutivo e il sistema ha generato oltre 15mila possibilità diverse che sono state inserite in più grafici per valutarne sia le singole caratteristiche e prestazioni, sia i rapporti tra i diversi obiettivi progettuali.
La progettazione urbana deve necessariamente confrontarsi con molti soggetti interessati che spesso impongono priorità e interessi contrastanti. Tutto questo incrementa la complessità del progetto.
Grazie al generative design è possibile ottimizzare la gestione e la strutturazione di tale complessità attraverso una precisa definizione degli obiettivi.