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Bim e diritto d’autore, implicazioni legali e modelli di flusso

La progressiva diffusione del Building Information Modeling in Italia pone al centro delicate questioni legate all’identificazione della proprietà intellettuale e alla gestione del diritto d’autore. L’interoperabilità, caratteristica tipica del Bim, impone una riflessione sull’autenticità dei dati e sulla loro protezione. Un campo in cui la tecnologia sta avanzando a grandi passi, mentre la normativa ha qualche difficoltà ad adeguarsi a cambiamenti così repentini.

Se il Bim non può esistere senza stretta collaborazione fra operatori e condivisione di dati e file, come si evidenziano e tutelano, nello sviluppo di un progetto, le proprietà intellettuali dei singoli contributi?

Domanda di non facile risposta. Se ne è discusso a Milano lo scorso 21 gennaio durante un evento di formazione organizzato dall’Ordine degli Architetti di Milano e Provincia.

La rapida digitalizzazione del settore delle costruzioni non riguarda soltanto il tema della tecnologia, ma anche quello della legalità. Per la committenza pubblica il tempo stringe, visto che il D.M 560 del 2017  ha stabilito che il Bim deve diventare progressivamente obbligatorio nel settore degli appalti pubblici entro il 2025.

«Esistono le implicazioni legali del Bim – ha spiegato Sara Valaguzza, Professore di diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Milanoma oggi la normativa in questo campo non sta seguendo l’evoluzione assai veloce della pratica. Ci sono molte lacune da colmare. Il radicale cambiamento delle modalità di lavoro ha comportato la creazione di nuove figure professionali che richiedono anche l’introduzione di nuovi diritti di proprietà intellettuale. In progettazione Bim i diversi oggetti che vengono inseriti nel modello sono prodotti da altri tecnici e non da colui che sviluppa il modello. A chi attribuire la paternità?».

legal Bim

L’architettura è da sempre un’opera collettiva, ma il Bim ha esteso la professionalità e la responsabilità di ciascun membro della filiera. Numerosi sono i soggetti professionali che convergono sull’attività di progetto e tutte le diverse attività sono contemporanee.

«Lo sviluppo del modello – è intervenuta Patricia Viel, socia dello studio Citterio-Viel &Partnersavviene in tutte le sue parti, strutturali progettuali, impiantistiche, in tempo reale, come accade in una crescita organica. L’intensità delle relazioni dal punto di vista delle competenze, con una quarantina di persone che lavorano sullo stesso progetto, rende difficile determinare i diritti e i doveri da tutelare rispetto ai singoli operatori partecipanti».

In assenza di una normativa specifica, è compito del giurista andare alla ricerca di analogie e casistiche che possano apparire simili. Da questo punto di vista, la metodologia Bim può essere equiparata a un concerto, dove sono presenti contemporaneamente partiture singole e partiture dell’insieme. Lo stesso si potrebbe dire però delle storie a fumetti, dei documentari e dei manuali scritti a più mani.

«Va fatta però una netta distinzione – ha precisato Sara Valaguzza – fra opere complesse e opere composte: in queste ultime la totale fusione dei contributi individuali identifica un oggetto nuovo, dando vita a qualcosa di autonomo che – togliendone una singola parte – diventa un’altra cosa. Il Bim va considerato quindi un’opera composta, con la conseguenza che anche i contratti di lavoro andrebbero adeguati per diventare contratti “relazionali, fondati sulla collaborazione. Ci sono poi le nuove figure professionali: pensiamo al gestore del Cde, dell’ambiente di condivisione dei dati. Se il Bim è un processo, quindi un elemento dinamico, e non una semplice banca dati, è necessaria una protezione specifica di tutti coloro che – con diversi ruoli – hanno contribuito alla nascita ed evoluzione de modello. Quindi, la domanda è: in che cosa consiste il diritto d’autore del Cde manager? In questo caso più che di diritto d’autore si dovrebbe parlare di know how, come per i settori commerciali e industriali».

In un ambiente di condivisione dati, l’attività è gestita da un soggetto terzo che non progetta e che, nella prassi, diventa una sorte di validatore per i vari passaggi che si susseguono e stabilisce qual è la soglia di interferenza tollerabile nell’avanzamento di un progetto.

In ambito Bim il processo è continuo e non ci sono scadenze di consegna. Chi gestisce la coordinazione deve manipolare un oggetto che si trasforma in tempo reale, mentre chi svolge il ruolo di controllore deve stabilire delle fasi di cristallizzazione.

La gestione del Cde segue quindi, settimana per settimana, chi fa cosa e quanto tempo vi dedica, così da monitorare il corretto sviluppo del progetto. Il Cde è una piattaforma virtuale di raccolta dei dati e, allo stesso tempo, un ecosistema digitale dove questi dati vengono elaborati e messi in comune. Pertanto, la condivisione del Cde deve necessariamente essere regolata attraverso la definizione delle responsabilità nell’elaborazione dei contenuti informativi e di tutela della proprietà intellettuale

Angelo Ciribini

«Quello del Cde – ha affermato  Angelo Ciribini, Professore Ordinario in Produzione Edilizia all’Università degli Studi di Brescia  – è un concetto instabile. Oggi siamo in una fase di grande transizione e l’ambiente di condivisione dei dati sta diventando il luogo di esecuzione dei contratti. In pratica, il Cde è un ecosistema digitale dove entrano in scena le questioni legate alla tutela della paternità, quindi della proprietà intellettuale, e della sorveglianza. Un luogo dove la collaborazione va governata e si risolve quindi in controllo».

Diritto d’autore, le questioni aperte

Un altro nodo cruciale riguarda il diritto di proprietà intellettuale di terzi sugli oggetti inseriti nel modello. Al momento non esiste una normativa a tutela e le librerie sono protette da copyright. Come risolvere la questione?

Può succedere che, involontariamente o a causa delle limitazioni tecnologiche degli strumenti, committenti e co-progettisti abbiano a disposizione librerie di oggetti personalizzate o script in formato proprietario, con una serie di conseguenze relative all’appropriazione o la cessione della proprietà intellettuale.

Oppure, può verificarsi che un progettista, utilizzando un software di generative design, apporti un contributo concettuale per affinarne gli algoritmi. Potrebbe, in questo caso, rivendicare la paternità in via esclusiva dello strumento – calibrato in termini di machine learning – così come la comproprietà delle soluzioni progettuali ottenute grazie all’impiego del software.

Tutti ambiti dove ancora il diritto non è riuscito a mettere ordine e dove il Legal Bim avrà quindi grandi possibilità di sviluppo, perché la modellazione digitale in questo settore è stata una rivoluzione e ha cambiato tutto.

Nel flusso di lavoro tipico del Bim non ha più senso parlare di consegna, di controlli e di verifiche nel senso tradizionale, perché il progetto sviluppato con la modellazione non è un disegno.

A mutare profondamente è anche l’attività di verifica del Committente, un soggetto che nel Building Information Modeling prende parte allo sviluppo del modello e che, quindi, dovrebbe essere chiamato a seguire così la progettazione passo per passo.

«È fondamentale – sottolinea Patricia Viel – la condivisione con il cliente dei diversi obiettivi che si intende raggiungere attraverso la definizione di precise scelte architettoniche».

Quindi, anche il committente è coautore nel flusso di lavoro Bim e, soprattutto, è colui che stabilisce delle direttive di partenza, determinando con chiarezza le proprie esigenze e aspettative da realizzare attraverso il progetto. Ponendosi all’inizio della filiera produttiva la committenza costituisce il motore dell’intero processo digitalizzato e deve essere coinvolta da subito nell’iter progettuale.

Deve però anche essere in grado di formulare i contenuti per configurare con precisione quelli che sono i propri bisogni, quindi assumersi maggiori responsabilità e poter definire con logiche computazionali un quadro preciso di esigenze e requisiti, con particolare attenzione alle modalità di funzionamento e utilizzo dell’edificio che si andrà a realizzare.

legal bim

Diritto d’autore e normativa volontaria

Oggi in ambito Bim il problema non riguarda solo la proprietà intellettuale di ciascun apporto, ma anche della delimitazione delle singole responsabilità, quindi della disciplina della collaborazione. Serve una maggiore interazione fra mondo giuridico e tecnico, perché troppi sono i soggetti coinvolti.

In un contesto dinamico come quello del Bim, dove il modello convive con l’edificio, continuando a ricevere contributi nel tempo, come si proteggono le singole proprietà intellettuali?

Si tratta di problematiche del tutto nuove, sconosciute ad altri ambiti di produzione. Infatti, nei contesti industriali (si pensi al settore automobilistico o delle telecomunicazioni) il modello – inteso come know how – è limitato nel tempo, perché destinato a essere sostituito nel giro di qualche anno, o anche meno, da un altro più innovativo.

In un progetto di architettura in Bim, invece, lo stesso modello su cui il progettista lavora dopo 15 anni sarà ancora lì, ma non sarà più lo stesso. Avrà subìto nel tempo una serie di modifiche e aggiornamenti continui. In questo caso, come i potranno individuare e attribuire i vari diritti d’autore?

«In ambito Bim – ha sottolineato Alberto Pavan, ricercatore al Politecnico di Milano – il diritto d’autore va considerato in relazione a coloro che diventeranno proprietari, come nel caso dei committenti, e utilizzatori del dato. In che modo, un progettista può valorizzare questo diritto, limitando l’accesso ai dati al proprietario dell’opera finita e agli utenti di quel particolare manufatto? Oggi, in relazione al Bim, riguardo all’autorialità delle diverse figure professionali e rispettivi contributi c’è ancora molto da fare. A livello europeo un primo contributo è arrivato con la norma EN 17412 che ha introdotto il concetto di Loin – Level of Information Need – tradotto in seguito come “livello di fabbisogno informativo” nella Uni En Iso 19650, introdotta nel 2018».

Obiettivo della norma è la regolazione del flusso di informazioni condivisibili durante il processo Bim per impedire la consegna di un numero eccessivo di dati in rapporto alle reali esigenze degli operatori che vi partecipano. Il livello e la complessità di ciascuna informazione da trasmettere dovrebbe quindi essere determinato in relazione al suo scopo.

La Uni En Iso 19650 si applica congiuntamente alla serie Uni 11337, che svolge il ruolo di normativa complementare. In particolare, nella parte 5 sono evidenziate le caratteristiche dell’ambiente di condivisione dati: Queste sono: l’accessibilità in base a regole prestabilite in funzione del ruolo della persona all’interno del processo, la tracciabilità e successione storica del flusso e la la garanzia e sicurezza dei dati. Nella parte 7, invece, vengono delineate le nuove figure professionali in ambito Bim con relativi requisiti di conoscenza, abilità e competenze.

«Il tavolo Uni – ha continuato Pavan – si conferma oggi l’unico luogo veramente interdisciplinare dove ogni soggetto, pubblico e privato, può liberamente portare e condividere la propria esperienza e conoscenza al servizio di tutti. Tuttavia, a tutt’oggi, sia a livello internazionale che nazionale riguardo al Bim non esistono norme dove si faccia chiaramente riferimento al diritto d’autore, perché di fatto ci si riferisce solo alla sicurezza del dato informatico. La buona notizia è che abbiamo un tavolo aperto sullo sviluppo del digitale in Italia e che, quindi, discutiamo di tecniche che poi possiamo portare anche in Europa. Ci sono ancora diverse questioni aperte: per esempio riguardo alla gestione dei modelli nativi che, se condivisi, trasmettono anche il know how, quindi le conoscenze, di chi l’ha elaborato. Perché vengono consegnati all’esterno i formati nativi? Il proprietario dell’oggetto, in questo caso del cespite, non deve per forza essere anche proprietario del dato, la gestione delle informazioni da parte dell’utente dovrà essere parziale e relativa alle sue esigenze. Un’altra problematica che vorrei evidenziare riguarda i salvataggi in cloud, dove una copia del modello viene sempre archiviata negli Stati Uniti, come del resto è anche scritto nel contratto. I modelli degli aeroporti o di altre opere pubbliche, per motivi di sicurezza, pensiamo ai recenti attentati, non andrebbero quindi mai salvati in cloud».

Il contratto tradizionale diventa smart

Il Bim è una metodologia ormai consolidata – soprattutto all’estero – che proprio per la rapidità con cui si è diffusa ha avuto un forte sviluppo in termini strettamente tecnici, senza però avere il supporto di nuovi strumenti giuridici pensati ad hoc per le nuove figure professionali e le diverse procedure di lavoro, fondate sulla collaborazione e la condivisione. «È necessario introdurre flessibilità – ha dichiarato Sara Valaguzza – in un settore che continua a essere regolato da mille diversi contratti che andrebbero invece adeguati per diventare collaborativi. Il diritto dovrebbe cioè diventare uno strumento di prevenzione della problematica».

Questi rapporti di collaborazione devono poter essere gestiti, quindi responsabilità e rischi vanno inseriti in un quadro giuridico chiaro dove vengano definiti contratti mirati e congrue remunerazioni.

In un flusso di interoperabilità continuo dove ciascuno contemporaneamente aggiunge al progetto in divenire il proprio contributo, le forme contrattuali alla vecchia maniera devono lasciare il posto a quelli che si potrebbero definire “smart contract”: singole parti di contratto digitali che tengono conto di ciascun apporto al modello.

In questo campo, è necessario confrontarsi con alcune esperienze straniere, in particolare in Germania e Regno Uniti, Paesi dove la ricerca sul legal Bim è più avanti. Gli smart contract sono quindi contratti flessibili con clausole incorporate in software o protocolli informatici a esecuzione automatica: possono, per esempio, sboccare la liquidazione di un compenso una volta che siano verificate le condizioni registrate in blockchain.

In sostanza, attraverso la tecnologia della blockchain è possibile gestire e registrare qualunque modifica apportata al modello Bim, quindi monitorare i singoli avanzamenti nelle fasi di progettazione e costruzione.

Questo perché la blockchain all’interno del workflow è in grado di tracciare, distinguere e validare le diverse attività sviluppate nel modello Bim dai singoli operatori che prendono parte al processo.

«È una tecnologia a prova di bomba – ha commentato Edmondo Occhipinti fondatore e Ceo della società di consulenza 3-im, specializzata in building – perché con la catena di blocchi ogni singolo individuo viene qualificato. Gli smart contract, che si potrebbero definire pezzi di contratti digitali, possono così bloccarsi o sbloccarsi a seconda del cambio di condizione, attivando clausole successive al verificarsi di situazioni particolari».

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